La rivincita del pomodoro

 

di Luciano Pignataro

La cucina dei vinti è ed era, a dispetto di quello che pensava Pellegrino Artusi, buona quanto quella dei vincitori. Poi negli ultimi trent’anni si è scoperto che è anche tra le più salutari del mondo.
Ma i pregiudizi contro pasta, olio e pomodoro nati con l’Unità sono durati molto a lungo, soprattutto quelli nei confronti dell’ortaggio più popolare al Sud messo sul banco degli imputati perché, a parere di alcuni critici, usato in eccesso nella tradizione gastronomica meridionale. Così molti cuochi, pensando di fare bella figura, lo hanno progressivamente eliminato dalla loro cucina proponendo piatti morbidosi e spesso formaggiosi, sostituendo poi il burro all’olio e il riso alla pasta.
Insomma, cucino come cucinano altrove per accreditarmi.

La rivoluzione avviata da Alfonso Iaccarino si è rivelata un’onda lunga perché ha imposto nella cucina stellata proprio gli ingredienti tipici del Sud affermando che non esiste una gerarchia di valori tra gli alimenti e che un vero cuoco deve restituire la dimensione del viaggio a chi lo va a trovare. Un messaggio forte, soprattutto in questi anni dove le guance di vitello cotte a bassa temperatura per svariate ore sono più diffuse nelle cucine banali e noiose della sottilette Kraft al supermercato.

Ora assistiamo ad un altro fenomeno, quello di molti ragazzi che si sono fatti le ossa nelle cucine spagnole e del Nord Europa e che hanno scoperto invece proprio lì l’importanza di un ortaggio che gli spagnoli giustamente sentono come proprio almeno quanto il Sud d’Italia. Solo che invece di nasconderlo e mangiarlo a casa ci studiano e lo propongono nei loro menu.

Il pomodoro dunque ha avuto la sua grande rivincita e adesso nessuno più ha paura di proporlo. Ma attenzione, il suo successo è indotto dall’esempio di quelle cucine, non parte da una riflessione sul suo uso nella nostra tradizione. Certo, tutto va bene, soprattutto se fatto con cura, ma nel primo caso si importa una moda di qualcosa che abbiamo già, nel secondo registriamo la marcia in più della creatività. Una sfumatura, ma il benvenuto di Marianna Vitale, la pimpante cuoca del ristorante stellato Sud a Quarto, è invece un esempio perfetto di come coniugare tradizione ed evoluzione. Cosa c’è di più ancestrale del ragù a Napoli e dintorni? Eccolo, allora, celebrato in forma moderna e con il gioco delle ore di cottura. Nulla di trascendentale, ovvio, ma è questa la strada che recupera il passato per andare nel futuro. Oppure anche il pane intinto nel ragù per iniziare il pranzo a Piazzetta Milù.

Insomma: presentare una ricetta tradizionale in modo nuovo sul piano estetico è importante, ci si mette sulla scia della svolta storica operata da Alfonso Iaccarino. Ripensare completamente la presentazione, tornare con la memoria a sapori ancestrali e renderli leggibili a chiunque, di tutte le generazioni e di tutte le nazionalità, è quello scatto che serve. Per il pomodoro, l’olio e la stessa pasta.

Il pomodoro è nettamente migliorato negli ultimi dieci anni, le industrie conserviere ci stanno lavorando meglio e non lo trattano più come una anonima commodity; tanti picoli produttori, soprattutto giovani, donne ed uomini, ci si stanno dedicando con passione alle falde del Vesuvio. Insomma, una bella rivincita, una strada aperta che adesso deve essere ripercorsa con creatività e soprattutto con l’orgoglio di ciò che ci appartiene perché tramandato dal sudore e dai sacrifici di intere generazioni di contadini meridionali.

A questo straordinario miglioramento ha contribuito un rinnovato orgoglio e un diffuso uso delle migliori qualità proprio sulla pizza.
Insomma, i greci trasmisero ai vincitori la loro cultura, i contadini meridionali il proprio stile alimentare.

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