Pizza, basta papocchiPizza. Enough messing about.

Diciamoci la verità, si sta perdendo un po’ la magia della pizza napoletana. Con tutta questa voglia di emergere, di distinguersi nel fare impasti particolari e usare gli ingredienti più svariati, spesso ci troviamo di fronte a veri e propri papocchi. Un po’ come quando i giovani chef del Sud che hanno appreso l’arte nelle scuole del Nord per fare bella figura presentano il risotto rinunciando a segnare un calcio di rigore a porta vuota con la pasta secca. Così, tanti giovani pizzaioli esibiscono creazioni a volte improbabili invece di farsi maestri con la semplicità.

Già, perché alla fine è proprio la semplicità – la semplicità che è difficile a farsi però – la chiave del successo della pizza napoletana. Un disco di pasta di acqua, farina e sale, pomodoro, mozzarella, basilico e olio: sette ingredienti in tutto che si fondono in circa un minuto e mezzo a 480 gradi in un forno pensato proprio per la pizza, con la bocca a forma di mezza luna. In tal modo avviene il miracolo, l’umidità dell’impasto idratato e la pizza, scioglievole e morbida, si può piegare a portafoglio o a libretto che dir si voglia. Questo è il miracolo della pizza: marinara, margherita, fritta con cicoli e ricotta, ripieno al forno oppure le classiche varianti come la salsiccia e friarielli.

Per raggiungere questa sintesi sono necessari secoli di storia, dal grano trasformato e migliorato sino al pomodoro arrivato fin qui dall’America passando per Siviglia. Una trasformazione continua, resa possibile dai padri fondatori che negli anni più difficili scelsero di alzare l’asticella della qualità introducendo l’olio d’oliva al posto di quello di semi e la mozzarella di bufala in un momento in cui il fiordilatte era quasi in agonia dal punto di vista della qualità. In occasione della festa di Sant’Antonio, vogliamo mettere la barra del timone in modo da regolare la rotta verso la semplicità, un ritorno alla essenzialità di questo cibo popolare perché questo è l’unico modo per restare leader. Se invece si inseguono altri modelli allora vuol dire che non si è coscienti di come affrontare il mercato perché si tratta di stili imposti da chi non ha tradizione e che, per questo, disperdono quella napoletana. Abbassando l’asticella ci si mette in condizione di essere superati più facilmente mentre, difendendo la tradizione napoletana, tutto alla fine è più facile, perché la strada è stata tracciata, proprio come per lo Champagne, circa tre secoli fa.

E la differenza tra la pizza napoletana rispetto a tutte le altre è proprio nel fatto di essere un prodotto di città e non rurale, distinta dai lievitati simili che nascono nei forni dei panettieri.

di Luciano Pignataro – foto Andrea Moretti

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